Nipotini di Artusi? Sì, possiamo definire Milena, Alvise e Paolo proprio dei degni discendenti ed eredi di Pellegrino Artusi (1820-1911), nato nella terra delle lasagne e dei tortellini esattamente 200 anni fa.
Milena, Alvise e Paolo sono 3 ragazzi che da oltre un anno sono impegnati nel laboratorio di cucina rivolto a persone con fragilità della Cooperativa Terramica e di Caritas Vittorio Veneto che, introdotti sapientemente e con pazienza da Paola, responsabile del reparto trasformazioni dei prodotti dell’Azienda Agricola Terramica di Mansuè, hanno emulato il grande Artusi, scrittore, gastronomo e critico letterario italiano, autore del notissimo libro di ricette: “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.
Il piccolo ricettario che hanno realizzato (e che trovate in digitale qui) esprime la loro dedizione al lavoro e la determinazione con cui hanno affrontato e vissuto questa prova di introduzione alla professionalità gastronomica.
Il progetto nel quale sono stati inseriti questi giovani, realizzato grazie al contributo dell’8xmille, esprime l’impegno di Terramica e Caritas Vittorio Veneto affinché a tutti, davvero nessuno escluso, sia data la possibilità di un lavoro dignitoso e riconosciuto come tale, capace di dare l’opportunità di esprimersi e realizzarsi anche professionalmente.
Il percorso proposto e ancora attivo, prevede l’organizzazione di corsi di cucina con una chef professionista e animatrice/docente qualificata nel lavoro, con un appuntamenti in più giorni della settimana e il “segno” economico di un piccolo stipendio, che non è (mai e poi mai) elemosina ma riconoscimento e remunerazione per un lavoro ben fatto.
Il tutto è stato pensato come un laboratorio creativo in cui, senza rinunciare ad un aspetto ludico, i giovani sono impegnati ed aiutati a realizzare le ricette, spesso proposte da loro stessi. Lo spirito è quello di infondere la passione per il lavoro, la fedeltà nell’impegno e la possibilità di far conoscere diversi alimenti ed ampliare così la gamma delle conoscenze, non solo nell’ambito gastronomico.
Non “si gioca alla cucina” non si fa finta di lavorare, non si riconosce la bontà dei risultati in modo acritico e adulatorio. Ci si impegna e ci si educa reciprocamente all’impegno. Così sì che allora cucinare diventa un gioco, con la gioia di constatare che la professionalità è, e può essere, a misura di tutti.